In questa fase stratosferica di cambiamento ho venduto molti libri, distrutto molti dischi inascoltati o scaricati negli anni d’oro del peer2peer. Ho ragionato in termini di falsitΓ su quello che mi ero autoimposta in una fase precedente e successiva alla adolescenza, quando le contaminazioni politiche e le persone piΓΉ disparate plasmavano e condizionavano l’individuo che eri o quello che volevi diventare in etΓ adulta.
Ho dedicato molto tempo a me stessa e ho concluso che la rimozione dai social Γ¨ stata la linea piΓΉ pulita che potessi fare per la salute mentale negli ultimi mesi. Ero indecisa se cancellare anche il blog, ma ho pensato che qui esiste un pezzo del lavoro costruito in diversi anni e non era giusto farlo, per il tempo e l’impegno investiti.
Ho ragionato in termini di specchio: se Facebook Γ¨ la presunta realtΓ , per me, essa non ha piΓΉ valore. Arrivo dagli albori di Internet, da quel periodo (fine anni ’90) dove ognuno si nascondeva con la propria identitΓ attraverso un nickname. Si cercava fuga dal rumore del reale, nuove vie e metodi di comunicazione. Con il mio nome e cognome, su un qualsiasi spazio, avverto un grande caos, tanto da rendere immobile e inagibile corpo e mente in un modo completo. Essere in attesa per rimanere ad attendere chi? Un commento? Un qualsiasi messaggio? Si puΓ² dire che Γ¨ lo stesso, il medesimo atteggiamento che portΓ² molte persone a costruire la conoscenza di quelle che erano le nuove identitΓ nascoste, ma con un segno invertito, con i suoi pro e contro, in un abbandono che Γ¨ ritorno alla calma della vita vera, oggi.
Il mio nome e cognome rimangono sul blog, senza fotografie o storie personali, senza piu’ l’accettazione di immagini difficili da rimuovere dalla mente, quelle cose che incrementano un immaginario che esiste ed Γ¨ plasmato dalla condivisione, frutto di proiezioni e paranoie inutili. Mi sono resa conto di come qualsiasi forma di plagio sia un trauma legato a foto e video che posso misurare e controllare con nuovi comportamenti sui consumi. Ho fatto spazio, sto facendo spazio al mio tempo, alla rete di contatti, alle scelte che voglio adottare in termini di cultura personale. Sono anche a buon punto dal cambiare professione, nel senso che opero in settori lontani dall’arte che implicano una vicinanza sfrenata alle persone, sui loro gusti, alla conoscenza, e mi diverto tantissimo. Incontro molti come me, che si adattano a fare centomila cose senza piagnistei, senza bisogno di fughe, senza reclamare quella necessitΓ di apparire facendosi vedere nei contesti piΓΉ disparati, persone che guardano al momento presente senza andare oltre con la testa, senza schemi elaborati in scatti che raccontano un vuoto plateale di chi sta costruendo set e sessioni a tavolino, di chi si presta al gioco nel distribuirle. Tutti lo fanno, tutti hanno paura di essere dimenticati.
In Abruzzo, ad esempio – parlando del settore in cui ho operato per sette anni e imparato a conoscerne le dinamiche – non esiste una rete di operatori dell’arte, ma una mafia. Un recinto di maiali orwelliani che illudono gli artisti senza offrire loro tutela e guadagno, senza dare una via di supporto critico alla ricerca che intraprendono. Per questo motivo, il ristagnamento che esiste Γ¨ dovuto a chi crede che le cose si possano fare senza una progettualitΓ a lungo termine e senza soldi, senza sudare o studiare, solo tra amici di connivenza e convenienza in un asilo che Γ¨ un sistema malato e votato al negativo e a una nicchia isolata.
Mi ritrovo con una manica di vecchi quarantenni con molti strumenti in mano a far finta di essere interessanti, innovativi e giovani. Si puΓ² dire che molti puntano alla visibilitΓ in un tempo sbagliato, un tempo che Γ¨ dedicato all’ascolto.
Per citare Manlio Sgalambro, questi tizi qui hanno scelto una via politica, libera. Io, Amalia Temperini, perseguo la veritΓ , autentica. Per questo la strada la cambio e la faccio mia, il resto se ne vada a fare in culo come le sterpaglie di una cittΓ bruciata colata a picco dai suoi stessi cittadini.
Proprio la rimozione del vecchio, dell’idea di persona che volevo essere, avvenuta inconsciamente con gli ideali politici che mi hanno incastrato in una prigione costruita con le mie stesse mani in catene radicali, non offrendomi mai una visione sana, riparto. Γ stato l’incontro con il vinile dei Daft Punk a rendicontare. Trovarmi davanti a una scelta sterminata di dischi, prendere quello di chi adopera la tecnologia piΓΉ avanzata per fare ricerca in una fattura tradizionale, a ridare slancio. Mi sono resa conto per la prima volta che questo tipo di cura e selezione musicale implica una azione. Alzarsi per girare lato ogni quattro brani in un movimento costruito su una linea basata in due o quattro sequenze di ascolto, che offre la possibilitΓ di risentirli come tutte le macchine progettate dall’Ottocento in poi, ma anche cambiare versante in una molteplicitΓ di fruizioni, le stesse che ho cercato di modulare in tutta la mia vita senza maschera, senza societΓ , da sola, in silenzio, col mio viso in questo momento alterato dagli occhiali da vista.
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