Siamo a Napoli, una città caotica. Pierpaolo vive in un quartiere popolare. È studente di medicina, ha un padre imprenditore e una madre casalinga.
La sua esistenza è quella di chi scopre il mondo, il suo mondo a parte in questa realtà metropolitana dove ci sono regole taciute che vanno oltre quello del comune sentimento, del comune comportamento. Sguardi, codici, azioni e zone in cui nascondersi da occhi indiscreti per divorarsi e sentirsi vivi.
Il primo che passa (Mondadori, 2021) è un romanzo di Gianluca Nativo che parla di omosessualità. La scoperta del proprio corpo, il consumo di esso stesso, degli altri, il primo grande amore, ma anche il limite che si ha quando si ha difficoltà a uscire fuori dalla omertà in cui si è cresciuti.
Quanto pesa la potenza dei propri genitori sulle proprie scelte? Quando si innamora di Elia si accorge di quanto la propria famiglia abbia dei limiti, si vergogna della sua condizione. Il padre è in carcere, la madre si è accorta di qualcosa, ma chiede di tacere, gli chiede sopperimere la possibilità di essere se stesso quando le situazioni sembrano tornare alla normalità e lui ha la necessità di farsi accettare per quello che è nella sua natura più vera.
La trappola di questo libro è rivelata nel finale diretto e atroce che solleva un interrogativo. Cosa nascondono le persone? E quelle che incontriamo sono come noi o ci ricordano il nostro stato di impotenza davanti alle cose? Quali sono i nostri limiti più grandi?
La scrittura del Giuseppe Nativo è snella e diretta. Ho apprezzato molto quanto avesse mostrato il valore, di un sentimento, il primo innamoramento. È evidentemente che nella letteratura di questi ultimi anni la necessità di parlare di determinati argomenti, di sollevare la questione sui diritti di tutti sulla possibilità di essere accettati sia un necessità sempre più reale e concreta. Il primo che passa racconta questo limite. Guadiamo i nostri fantasmi e li subiamo dagli occhi degli altri.
Vogliamo che sia ancora così?
Consigliato!
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