Visto sabato pomeriggio in afflato di antipatia verso tutto quello che avevo intorno, il film del regista finlandese Aki Kaurismäki è un gioco ironico ed evolutivo sulla vita di un truffaldino personaggio che scappa in un territorio della Francia del nord (Le Havre), per vivere una storia d’amore con una donna apparentemente non presa da lui, incline al comando e al rifiuto di avere un perditempo in casa; mentre lui svolge le mansioni di vagabondo sciuscià a discapito di ciò che era: uno scrittore e noto bohémien parigino.
La storia ruota attorno alle vicende di Marcel Marx, protagonista del quale si conoscono poche cose. Idrissa, un ragazzino di colore arrivato clandestinamente in quella città assieme a dei connazionali, cambierà le sorti della narrazione, poiché egli rappresenterà il riscatto e la salvazione di una situazione poco piacevole: la malattia della compagna di Marcel, Arletty.
La tematica sociale è un punto di vista adottato per parlare di una storia d’amore che si regge su un filo sottilissimo.
Costruito con un impianto fotografico vecchio stile – tutto sembra venir fuori dalle luci di una tipica pubblicità degli anni cinquanta -, e da una tecnica di ripresa a camera fissa, la pellicola segue le evoluzioni dei propri personaggi, in una poesia unica e abbacinante. Mentre l’ironia è elemento rapido, incalzate, in una visione quasi socratica di tempestività e dissimulazione dell’avversario, qualsiasi esso sia, fino alla fine, a favore della propria persona e delle situazioni che Marcel si trova a vivere.
La velocità con la quale il protagonista riscatta la sua vita è tutt’uno con i personaggi che gli voltavano, in un tempo antecedente, le spalle, ma che adesso sono fedeli amici.
Lo consiglio. Scoprire questo regista è stato veramente sorprendente, anche per i riferimenti letterari inseriti di grandissimo spessore (i racconti di Kafka, ad esempio).
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