Dovevo, ieri sera dovevo, vedermi qualcosa che mi lasciasse libera la mente. Ero partita con tutti i pregiudizi del caso perché non amo tantissimo Martin Scorsese, ma devo ammettere che Hugo Cabret mi è piaciuto parecchio.
La cosa che mi ha colpito di più è la dimensione dickensiana con la quale è stata costruita la storia. Essa ha come oggetto principale un bambino che perde il padre orologiaio a causa di un incidente avvenuto in un museo. E’ affidato alle cure dello zio, e l’unica cosa che porterà con sé, in quella nuova “casa”, sarà un automa che stava aggiustando assieme al suo genitore ormai defunto.
Di qui una vita rocambolesca: ruberà per mangiare; sarà inseguito da un persecutore poliziotto; regolerà tutti i meccanismi d’orario della stazione; studierà in maniera costante come sbloccare quel robot, e conoscerà, infine, un tipo sorprendente, titolare di un laboratorio di giochi che gli cambierà definitivamente il modo di guardare le cose.
Mi sono meravigliata dinanzi a una composizione stilistica da urlo: fotografia, montaggio, location e scenografie, sono sorprendenti. Quello che arriva con sicurezza è il rispetto che si ha del proprio mestiere. Ripercorrendo la storia della cinematografia mondiale, infatti, partendo proprio dalle sue basi – e sfruttando come personaggio di punta George Méliès – Scorsese racconta, attraverso gli occhi di una bambina, un viatico che confluisce nell’uso della tecnica 3D.
Il suo punto di vista sembra voler quasi restituire e omaggiare proprio chi quel cinema onirico lo ha creato e alimentato attraverso le prime sperimentazioni.
Hugo Cabret come Oliver Twist. Un nome e un cognome che hanno caratterizzato la letteratura inglese di un determinato periodo, restituitaci in una chiave moderna e figurativa del tutto innovativa, attraverso la settima arte. Una fortuna arrivata all’improvviso: il cambiamento radicale del proprio percorso di vita. Quello stesso che può incantare, incatenare e spiegare allo spettatore la regola numero uno della visione: il “perché solo nei film che c’è sempre il lieto fine“.
Consigliato!
Questo film mi e’ piaciuto da morire! Bella recensione…come sempre! Alessia
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O tu sei un pozzo di cultura o io sono una merda. O entrambi. Non passare più a leggermi, davvero, non me lo merito!
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in che senso?
ma sei pazza ahahahahah
piuttosto, io non so nulla di archiettura! 😉
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Il bello è che di architettura non c’è niente da sapere!!
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ah no? 😛
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molto ben fatto. L’ho visto al cinema in 3d e per una volta parlo del 3d) ne è valsa la pena. Davvero interessante la ricostruzione della storia del cinema. E poi ho un debole per gli anni ’20, quindi…
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😀 insomma: una situazione a faGIUolo!
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Molto bello, come consigliato più volte, il libro originale di Brian Selznick è un capolavoro.
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ah già, ho scordato di dirlo, presa dall’enfasi!
Sì, grazie di averlo ricordato! :*
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Anche a me è piaciuto moltissimo. E alla fine la mente l’hai liberata?
🙂
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decisamente 😀
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