Ho visto il film in una notte senza troppi rumori e con la voglia di capire cosa tanto aveva attirato la critica e i miei amici.
Nella sua parte iniziale non ho avuto slanci particolari; capire cosa fosse accaduto e quali erano i protagonisti mi lasciava indifferente. Mi sono limitata a collegare alcune scene a registi italiani che avevano girato situazioni appararentemente simili, in pellicole passate (Daniele Buchetti, La scuola; Gabriele Salvatores, Io non ho paura, ecc.), con un po’ d’ilarità e stupidità.
Valeria Solarino, Valerio Mastrandrea, Stefano Accorsi e Filippo Timi sono i protagonisti del lavoro di Daniele Gaglianone uscito nel 2011 e intitolato “Ruggine”.
Il potere alla mia curiosità è stato innescato proprio dal personaggio di Timi – un medico filo-nazista torbido -, che dissemina paura in una comunità di ragazzini, spaventati dalle atrocità di alcuni delitti inspiegabili, che troveranno soluzione proprio nel loro castello fatto di rottami.
La regia è costruita attraverso due scarti temporali: passato e presente – quello che si era; ciò che si è diventati oggi, dopo aver vissuto determinate esperienze.
La cosa che ha permesso di intrecciarmi alle evoluzioni delle loro vite è stata la scelta di inserire come inquadrature basilari la ricerca delle loro spalle. Osservare una persona in questa posizione – spulciandone la segretezza dei ricordi – suscita allo spettatore una forte aderenza con l’intera ripresa, con il suo conseguente montaggio, ma soprattutto la comprensione delle dinamiche psicologiche adottate da autori e sceneggiatori.
Non è un’opera leggera, già il titolo – Ruggine – lascia capire quanto sia corrosiva e grave la storia. Essa acquista valore aggiunto solo nella sua seconda parte.
Molte delle frasi si ripetono in più parti della visione, come un’eco indissolubile per le loro vite e come monito da lasciare ai propri figli.
Lo consiglio; aggiungendo che è tratto dal romanzo omonimo di Stefano Massaron (Ruggine, Einaudi, 2005) e ha una colonna sonora di Vasco Brondi, leader del gruppo ferrarese Le luci della centrale elettrica.
La frase:
“Chiu scuro di mezzanotte non può fari”
Teaser:
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