Pietà, il film uscito lo scorso settembre in Italia, che ha vinto l’ultimo Festival del cinema di Venezia, mi ha lasciato perplessa.
E’ un lavoro particolare, senza stravolgimenti strutturali. Il montaggio è sporco e la sceneggiatura meccanica. Quando sono tornata dalla visione, non ho resistito: ho cercato di capire cosa avrebbe voluto comunicarci il regista Kim Ki Duk; i simboli che ha adottato e i motivi per i quali li ha inseriti.
Il viaggio di ritorno a casa è stato un delirio di risate – come del resto tutta la visione – con un pubblico a dir poco turbato dalle scelte apparentemente incestuose che si susseguivano; dalle pizze in faccia tirate; dai personaggi esteticamente anime; da una sproporzione di gusti nella scelta delle personalità volutamente ironiche; ma soprattutto, dalla gente che usciva dalla sala e non aveva capito un’emerita ceppa delle dinamiche finali che erano – forse – le più chiare.
La storia è di un giovane trentenne cresciuto senza madre che di mestiere è strozzino; per diversi tizi si occupa della riscossione di tassi al 1000% su prestiti concessi. Quando i poveracci – indebitati fino all’osso – non possono pagare, interviene decidendo di spaccare e storpiare braccia e gambe a tutti. Un giorno però arriva una figura minuta che gli s’inginocchia davanti chiedendogli scusa per una vita d’assenza e dichiarandosi sua madre.
Una donna assente che ha generato un mostro ingordo e capace di efferata vendetta, anche sulla pelle della propria genitrice.
La pellicola è costruita a scatti, saltando da un eccesso all’altro. Kang-do (il protagonista) oggi è cattivissimo; domani sarà buonissimo e pentissimo delle azioni che ha commesso; fino a un finale che lascia inebetiti, poiché è l’unico punto centrale dove si tocca un alto spessore lirico nella costruzione immaginifica dello spettatore.
La cosa vergognosa è stata lo scoppio di risa del pubblico, nel quale ero pure io, che sbeffeggiavo le azioni di cuore e spernacchiavo rumorosamente su scene che lasciavano frastornata anche la peggior capra tibetana sperduta nel monte più lontano, lisciandosi la barbetta, con tanta pazienza.
Ho speso 4 euro e 0,50 centesimi, potendoli tenere ancora in tasca.
Non accresce in emozioni; è statico e freddo come solo un’opera minimalista sa essere.
L’interesse per un cinema sud coreano potrebbe finir qui se non avessi quel peccato malefico di donna espressamente curiosa e cervellotica.
Per approfondimenti, e senza troppi stravolgimenti, lascio alcune delle recensioni che stanotte ho letto/ascoltato; per capire i motivi per i quali la giuria gli ha concesso la vincita della palma d’oro. Senza aggiungere altro, perché potrei eccedere in opinioni personali che non invoglierebbero ulteriormente alla comprensione, lascio qui i link:
Paolo Mereghetti – Corriere della sera
Alessandro Baratti – Glispietati.it
World Social Forum – collegamento a recensione
Trailer:
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