Apro una riflessione. Nella mia vita ho letto tantissimi libri, alcuni per piu’ volte.
La lista di questi ultimi è limitata; molto indicativa per la mia esistenza:
1) Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry;
2) Cime Tempestose di Emily Brontë;
3) Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde;
4) La luna e i falò di Cesare Pavese;
5) Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi;
6) Una questione privata di Beppe Fenoglio;
7) Il barone rampante di Italo Calvino;
8) Le città invisibili del medesimo autore di cui sopra;
9) Momenti di trascurabile felicità di Francesco Piccolo;
10) Pinocchio di Carlo Collodi;
11) Gomorra di Roberto Saviano.
12) Chiedi alla polvere di John Fante;
13) Amleto di William Shakespeare.
14) Aspettando Godot di Samuel Beckett;
Puntualmente li rileggo. Il numero nove poi è diventato una sorta di totem che porto dietro di solito per farmi tornare il buon umore. La cosa che mi colpisce di più è che li dimentico sempre nelle loro parti. Come quando sostengo un esame che mi ha appassionato per lungo tempo e che mi ha logorato in tutte le sue forme.
Mi sono sempre chiesta se merita più il viaggio o l’arrivo.
Fortunatamente i libri non impongono la ripetizione di situazione che si svolgono in un unico momento, ma aiutano a capire come i tuoi punti di vista, nel corso degli anni, siano cambiati, lasciandoti intravedere come le tue opinioni, a distanza, siano diverse.
Il vizio che ho quando leggo è quello di inserire la data d’inizio e fine lettura, alla prima e all’ultima pagina. A volte scrivo l’attesa, in altre, a chiusura, segno un aggettivo netto che racchiude l’emozione che mi ha lasciato.
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