Amalia è in città

Ho un leggero mal di testa; stamattina ho studiato, ora sono in pausa, scrivendo qui, e decidendo sulla possibilità di prendere un oki.
Mi trovo a preparare un esame di storia della cultura;  le pagine che sto memorizzando sono legate all’evoluzione del teatro rinascimentale e mi hanno fatto riaffiorare un episodio che non mi è sceso tanto durante una delle ultime sessioni fatte.

Nel corso della mia carriera ho sostenuto due corsi di teatro molto simili tra loro, addirittura con lo stesso professore e alcuni testi fissi, i suoi.
Non è tanto questo che irrigidisce i miei pensieri quanto più la sua sferzante voglia di mettere un 28 a tutti i costi, senza stare a pensare che io possa migliorare, o darmi la possibilità di farlo. Sono una persona caparbia, non amo facilmente perdere, se studio lo faccio per accettare un voto abbastanza alto, e se prendo un 30 senza lode, mi girano altamente le palle.

Questo professore, all’appello del primo esame, ha avuto il coraggio di presentarsi in aula con un PC che prevedeva un software, in cui l’allievo inseriva nome e cognome, prima di essere esaminato; una volta criptati i propri dati, essi venivano restituiti in fotografie di ambienti, spazi e scenografie, ovviamente da riconoscere, identificarne i periodi storici e sceglierli, al fine di ottenerne l’argomento per la tua interrogazione.

A me vennero fuori due immagini chiare: l’attore stanislavskiano e il teatro shakesperiano di epoca elisabettiana.

Da buona suicida autolesionista, decisi di avviare il discorso sul primo.

Avete presente le persone più fastidiose della storia del mondo? Quelle che quando stai cercando di esprimere un giudizio sano su quadro di riferimento, v’interrope ogni quindici secondi per aggiungere disquisizioni o termini, che secondo lui, sono migliori o più consoni, facendovi perdere la logica di quello che state esprimendo?
Ecco il mio professore: ha di certo di una pignoleria pura.

Ogni volta che penso a lui, ho in mente un mix tra Furio – personaggio di Verdone del film Bianco, rosso e verdone, e a Castellitto, nell’interpretazione del padre di Caterina del film di Virzì, Caterina va in città.

Ho smesso di studiare per sfogarmi e dire che quel 28 datomi, guarda caso, è rimasto anche al secondo appello. Conoscendomi, e conoscendo tutti noi studenti, in quanto pochissimi a seguire le sue lezioni, ho sempre avuto un pensiero fisso: ma non è che lui si sia segnato il voto del primo esame per poi confermarlo nuovamente, a distanza di anni, nel secondo? Altrimenti che senso ha avere un block notes in cui segnare domande fatte e persone interrogate?

Quel voto mi è rimasto sul gozzo, sia nel primo, che nel secondo esame, e intralcia i miei pensieri a distanza di anni, pure quando sto studiando altro.

Ragioniamo sul mio stato di degrado mentale?

12 risposte a “Amalia è in città”

  1. Non te la prendere, sono stata una studentessa anche io e capisco il tuo stato d’animo. Comprendo perfettamente il fastidio che si prova in situazioni simili ma, a distanza di anni, ci sorrido su 😛 Forza forza SECCHIONA!!!! ihihihi

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  2. Mi era capitato di rifiutare un 28 e alla volta successiva il prof “Ti do 29 perchè così impari ” Baci e in bocca al lupo

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    1. che odioooooooo, infamone!! crepiiiii

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  3. Secondo me è autolesionismo puro rifiutare un 28… 🙂

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    1. non rifiutato mai. hahaha
      sarei del tutto scema!

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      1. Ah, beh… avevo capito male… 🙂

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      2. no no, se prendo 30 e non c’è la lode mi irrito. dal 27 in su accetto tutto.

        Alla triennale accettavo dal 25 in su.

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      3. Io prendevo tutto… 🙂

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  4. Due ventotto che però ti hanno portato a scrivere un post davvero spassoso! (Ventotto eh, ti richiamo alla realtà!!)

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