È da tempo che cercavo qualcosa di Gogol’. È arrivata la decisione mentre leggevo uno studio critico di arte contemporanea che parlava del lavoro di William Kentdrige.
Dei due racconti inseriti in questo volume edito da Bur, con illustrazioni di Altan, la traduzione di Tommaso Landolfi, ho apprezzato Il Naso a Il Cappotto.
La storia fantastica è ambientata a Pietroburgo, in Russia. Un barbiere si ritrova in tasca il naso di un noto assessore. Da qui inizia un balletto tra chi ha perso un pezzo del proprio essere e chi si è riorganizzato la vita sulla base della sua autonomia distaccata da un corpo.
Si parla del tema dello sdoppiamento, un argomento molto attuale, se si pensa a ciò che siamo nella contemporaneità, a come ci relazioniamo ai social network, alla nostra immagine pronta all’uso, modificata e alterata dai filtri. Del resto siamo questo, dimensioni di impatto che arrivano dritte dai – e ai – nostri schermi, specchi che ci mettono in croce per ricordarci quanto potremmo essere giusti o inadeguati sulla base della nostra forza o fragilità.
È interessante notare come la rimozione di un elemento possa alterare e influenzare il giudizio di chi hai di fronte in una costruzione mentale che è solo paura di accettazione.
Questo scritto di Nikolaj Gogol è ironico. Le illustrazioni di Altan aiutano l’immedesimazione in quello che era l’ambiente di una grande società borghese di metà ottocento, in cui giocarsi la faccia, significava perdere la propria dignità.
Il Cappotto – il secondo racconto – sviluppa una condizione grottesca dell’esistenza. Il protagonista inizia a sentirsi considerato vivo quando riesce a mostrare questo indumento ai suoi colleghi di lavoro. Per un semplice parapiglia accade qualcosa che muterà la sua sorte.
Il libro, nella sua totalità, ha introduzioni corpose e a ogni fine riporta i commenti dei maggiori critici di scuola russa. Entrambi gli scritti son confluiti nella raccolta I racconti di Pietroburgo realizzata dopo la morte dell’autore.
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