Penso questo articolo dopo averne letto un altro pubblicato su Grazia n. 43 dove si presenta un libro che tratta di come il razzismo debba essere spiegato ai bianchi. È di una sociologa americana. In modo molto spicciolo viene spiegato come sia tutto un meccanismo di accettazione, lacrime e rabbia, di incomprensioni e manipolazioni. Cade a fagiuolo una serie TV uscita due anni fa che ho visto di recente su Netflix.
Seven seconds è la storia di un ragazzo che vive nei sobborghi di New York da una famiglia di colore. Viene travolto in un incidente da un uomo che risulta essere un poliziotto della narcotici. Da qui si intrecciano diverse situazioni: i gruppi di poliziotti che fanno quadrato, i gruppi di neri che lottano per vedere riconosciuti i propri diritti. I gruppi religiosi, i gruppi di supporto, i gruppi di ragazzi coinvolti nella criminalità per spaccio. Le collaborazioni tra polizia e criminali per spartire il potere sui territori. Chi serve la nazione per ripulire il suo nome dalla criminalità. La politica che gestisce tutto in base al consenso e alla popolarità del caos e sulla base dei sommovimenti che offrono una dimensione plateale di visibilità.
I protagonisti sono un procuratore e un poliziotto che provano in tutti modi a mettere in salvo una famiglia che si è vista mancante del proprio figlio.
La serie si presenta cruciale adesso, per me, in vista delle elezioni americane del prossimo 3 novembre. E’ utile anche a riflettere su come le proteste ai nostri occhi siano venute fuori quando l’attenzione era concentrata sulle TV, in occasione della morte di George Floyd, quando il corona virus in Italia, come in tutto il mondo, ci costringeva impossibilitati a muoverci da casa a causa del lockdown.
Il punto è che, come nei film, il consenso dell’opinione pubblica nei confronti degli afroamericani è ancora troppo basso e strumentalizzato. Questo dato permette di parlare anche di un’altra miniserie di cui scriverò la prossima settimana, basata su una storia vera.
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