Attorno a me ci sono stati perdite. Alcune erano dovute al covid, altre per anzianità. Vivere un lutto in questa dimensione di straniamento è indescrivibile. Ad aprile scorso anche io ho visto morire mia nonna in casa. Nessun funerale, nessuna cerimonia, pochissimi figli e nipoti. Era malata da tempo.
Il ricordo che ho di quei giorni sono le persone affacciate ai balconi e quelle sotto casa fuori dai cancelli ad aspettarla per un saluto. La morte di mia nonna la ricorderò come un pomeriggio assolato passato a disinfettare casa per via di estranei arrivati per portare la salma al cimitero.
Parlo della morte non per intristire gli animi, di questi tempi chi è felice è ben fortunato, ma mi rendo conto che fanno presa su di me i racconti di chi sta avendo vicino persone infettate dal virus.
Quello che mi ha sconvolto è stato un racconto di come una moglie e un marito vicini alla mia famiglia si siano ammalati. Lei è in una struttura, lui in un’altra. Lei è viva, lui non ce l’ha fatta a causa di errori del medico di base e a dinamiche incomprensibili accadute in ospedale.
La moglie raccontava a mia madre di come lui avesse freddo di inverno. Era stravolta da questa immagine che condiziona pure me da ieri. Il pensiero di essere curato nudo e abbandonato in obitorio, alla stessa maniera, in completa solitudine come carne da macello. Mi metto nelle vesti degli operatori sottoposti a continue vrssazioni di questo tipo. Io la mascherina la cambio.
Questo grande “boh” che mi attanaglia da giorni mi porta a iniziare questo lunedì con un pensiero cupo.
Sarò esagerata?
Chi sono?
https://amaliatemperini.com/about/
Se vuoi supportare il blog con un caffé:



Rispondi