Ieri ho inoltrato un grosso ordine lavorativo. Mi sono concessa una mezza giornata di pausa anche se io e lo stato di tranquillità non siamo soliti andare a braccetto.
Da marzo scorso ho deciso di piantare nel mio orto alcuni bug hotel per incrementare la presenza di api e farfalle. Lo scopo è molteplice: avere una presenza massiccia di insetti impollinatori che alimentano ciò che pianto e la difesa di quello che ho piantato nel tempo.
Quando decisi di fissarle, pensai che una ottima soluzione fosse anche di mettere delle casine per gli uccellini. Ho notato che durante i mesi più freddi li ritrovavo sui balconi, sulle finestre a cercare residui e molliche di pane.
Il mio animo si fa prendere da molta nostalgia in questi casi. È una cosa che mi riporta a quando ero bambina, a quando, con molta attenzione, fissavo dalla finestra quello che accadeva fuori immaginando il mondo.
Pochi giorni fa, ero seduta su questa poltrona dove mi trovo a scrivere. È sistemata vicina al camino. Per farla breve, alcuni giorni fa, due o tre uccellini hanno preso a sbattere contro la finestre, proprio beccare contro il vetro. È stata una cosa molto particolare. La prima perché ho pensato: ma tu guarda, mentre noi chiediamo di uscire, questi qui bussano per entrare. La seconda – quella più reale – è stata: ma guarda tu, chiedono cibo a noi che li cacciamo.
Ho ripensato che avevo acquistato da Amazon una scorta di semi per uccelli selvatici per il ricarico dei luoghi in cui ho sistemato le loro abitazioni per nidificare. Ho preso un contenitore in ceramica e ho fatto una prova per vedere se erano interessati a ciò che proponevo. Sono quattro giorni che ricarico questo piattino che è nella foto di copertina. Non riesco a fotograre la loro presenza perché sono velocissimi, ma credo sia giusto così: è giusto godere di quel momento e gustare quella velocità che è padrona del regno animale.
In questi giorni ho molta paura. Paura di perdere le persone che ho accanto, paura di ammalarmi per esposizione agli asintomatici, paura di finire in ospedale e vedermi costretta ad accettare delle cure mirate. Ho più paura adesso che a marzo. Mi spaventa molto questo pensiero fisso di immobilità. Sono molto insofferente a chi fa finta di niente. A chi vive nel suo castello fatato facendo finta che il mondo fuori è normale fuori e perfetto.
Molta angoscia parte dalle tante foto condivise, dalle tante immagini viste da facebook giorni fa. Il dato più nocivo dei social network. La mancanza di permesso e di rispetto altrui, sbatterti davanti una verità che è un trauma gratuito costruito per immagini che ho difficoltà a rimuovere dagli occhi.
Per me la guerra ora è un segmento per immagini. È un po’ come il marketing che studia gli effetti dei nostri sguardi in una ottica di neuroscienze. Il futuro è la difesa della propria visione. Una cosa che credo sia molto difficoltosa da tutelare, ma passerà anche questo tempo – o almeno spero!
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