Se partite con la voglia di andare al cinema con grandi attese sull’ultimo film di Giuseppe Tornatore, state tranquilli che rimarrete senz’altro stupiti.
La migliore offerta, uscito il primo gennaio, e visto ieri sera in una sala semipiena, è un film insolito per chi è abituato a conoscere il regista nelle vesti di un grande narratore dell’Italia meridionale, in pieno ritmo neorealista e appassionato.
La sua firma è posta nelle battute finali, dove s’incrociano al suo punto di vista, le musiche immancabilmente identificative di Ennio Morricone, e una carrellata che ci riporta a suoi lavori passati, permettendo allo spettatore di ritrovare quella dimensione che attendeva prima di acquistare il biglietto e di entrare in sala.
La trama è costruita attorno a un battitore d’asta famoso e interpretato da Goeffrey Rush nei panni di Virgil Oldamn. Lui è un collezionista che conosce perfettamente la storia dell’arte; un uomo ossessionato dai ritratti, gli stessi che acquista tramite un amico che si presenta fidato; opere che custodisce all’interno di uno studiolo cui si rifugia per mirare le uniche donne che riesce a guardare dritte in faccia e toccare, in pieno silenzio e solitudine.
A sconvolgere i ritmi sarà una concatenazione di eventi che ruotano attorno alle vicende della bella Claire Ibeson (Sylvia Hoeks) : una ricca possidente affetta da agorafobia, che possiede una villa piena di anticaglie in attesa di essere catalogate e vendute.
Spazio e tempo non sono dichiarati, alcuni elementi fanno capire che la storia è ambientata nei nostri giorni e in più luoghi. Immancabile il nano – la figura di riferimento portatrice di verità – che con codici precisi di comportamento attraversa il flusso filmico facendo intuire, come esso, nella sceneggiatura, sia elaborato in maniera estrema senza abbandonare nessun dettaglio, al fine di coinvolgere in un’altra dimensione chi guarda, portandolo a confronto con un oggetto meccanico inserito e ricostruito grazie a degli elementi ritrovati in villa e ricostruiti da Robert (Jim Sturgess), specializzato nella ricostruzione di marchingegni.
E’ un lavoro di testa più che di pancia. E’ drammatico, fin troppo romantico, a tratti ironico e sarcastico. Dura tanto – soprattutto se visto in un multiplex con 40 minuti di spot pubblicitari sparati ininterrottamente nelle sua fase iniziale.
Il montaggio ha una visione americana, non di tradizione prettamente italiana.
Consigliato; se non altro per capire come Giuseppe Tornatore abbia la capacità di essere un consapevole trasformista, in grado di saltare da un registro all’altro di rappresentazione, senza troppa difficoltà, soprattutto per chi lo osserva.
Trailer:
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