Ho appena letto il commento di Aldo Grasso sul Corriere della sera e ho avuto la percezione che fosse un uomo non più in forma in quanto a espressione critica sulla contemporaneità.
Ci sono due aspetti che mi hanno colpito nella sua analisi: la dimensione radiofonica e l’assenza del pubblico. Rispetto a quanto afferma ho fatto due riflessioni personali. La prima: la TV – il piccolo schermo inteso alla vecchia maniera analogica – mi rappresenta ancora?
Secondo me no, e lo dico sulla base della mia esperienza di consumo legata alla velocità. E’ cambiata la mia relazione coi mezzi di comunicazione, molto più smart, molto più efficaci in termini di interessi senza stare a sorbire quello che non voglio gustare. Il mio occhio non vede, e può oscurare, e la mia mente agisce molto più velocemente con lo scorrere delle stories attraverso un ditino. Il telecomando è diventato un oggetto che non uso quasi mai, di cui ho perso la pratica. Non è uno strumento che mantengo con piacere, non è touch e dinamico come lo schermo di un pc, tablet o un semplice smartphone.
La seconda riflessione:
il vero dramma del Festival di Sanremo di quest’anno – almeno nella sua prima puntata – è stato di assistere a uno spettacolo che falliva da ogni parte, faceva proprio acqua, come se la TV avesse perso la bussola originaria davanti a qualcosa che è sempre stato in suo possesso: la audience.
Quella stessa audience che oggi è racchiusa per ognuno di noi in un gruppo di follower. Il punto è che il pubblico era presente virtualmente, ma è il mezzo televisivo che non ha retto il cambiamento. Questo è lo scarto epocale.
Molti degli artisti giovani che ho visto si sono presentati con un rapporto sbilanciato di immagine, la loro voce non c’era, mancava di rabbia, e quando compariva, non aveva una storia da raccontare.
Sono in perfetta coerenza con quello che racconta il nostro tempo: fuori luogo e senza identità perché tutti uguali.
Mi spiego meglio: quando è arrivata Loredana Bertè abbiamo avuto tutti la percezione di avere voce e corpo in una stessa persona. Un personaggio coerente con la sua dimensione costruita negli anni su quello stesso palco, nei canali Tv, sugli stage dal vivo, in processi storici che hanno messo al centro un mezzo che prima era davvero la fonte più consumata dal pubblico.
Oggi vale ancora questa condizione?
Secondo me no. A questo punto il segnale più forte era quello di azzeramento. Il Festival di Sanremo che non c’è, quella stessa voce non c’è, perché non c’è più quel pubblico.
La scenografia spaziale che mangia il nulla è la dimostrazione di come quel potere non ha più valore sui di noi che abbiamo preso possesso di quei linguaggi.
Gli unici a vincere sono gli sponsor, ma questo è un altro argomento con altre strategie.
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