Forse ho sbagliato libro, ho pensato che se avessi iniziato a leggere Vera Gheno dall’ultimo mi sarei appassionata di più alle sue cose.
È successo, al contrario, che mi sono trovata a leggere dei discorsi sul dubbio, la riflessione, l’impegno e la fatica, che paiono ai miei occhi come cose molto scontate.
Ci sono stati degli spunti che mi hanno fatto pensare e ispirato, per il resto è come se avessi avuto in mano un piccolo volume che avesse avuto l’obiettivo di ridefinire i termini della comunicazione in generale.
Come lettrice, come ex studentessa di una facoltà di scienze della comunicazione, mi sento in po’ offesa e un po’ amareggiata; mi è arrivata una grande sottovalutazione delle capacità dei lettori nonostante sono loro il centro a cui si rivolge l’apertura ai linguaggi, alle contaminazioni e alla possibilità di cambiamento.
Un passo che mi è piaciuto molto è quello in cui la studiosa permette di capire la distinzione tra comunicazione performativa e quella generativa, dove quest’ultima è rivolta davvero a chi, come noi, acquista libri, giornali, l’intero materiale divulgativo e formativo, per avere accessibilità e semplicità nell’approccio alle cose per viverle.
Come essere umano ho sempre pensato una cosa: il linguaggio lo forgi sulla base della esperienza. Se i termini che uso comunemente non appartengono alla mia pratica del fare, non li ho attraversati in prima persona, sto davvero adottando una forma di linguaggio e uno scambio autentico con chi ho di fronte?
Le ragioni del dubbio (Einaudi, 2021), non mi ha convinto. Non mi è piaciuta neppure la riduzione adottata per chi appartiene a questo tempo dell’antropocene dove tutto è semplificato in poche righe e punti.
È una provocazione?
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