Quando ho acquistato L’isola dei battiti del cuore è stato un gesto compulsivo; ho spiegato alla libraia che avevo bisogno di qualcosa che mi portasse fuori da un luogo solito, cioè da quelle letture che scelgo nella quotidianità. Quando stavo pagando, lei ha capito immediatamente che aveva di fronte una lettrice compulsiva con una crisi in corso. Mi ha rassicurato e detto di aver scelto il libro giusto per questa rappacificazione con me stessa e il mondo della letteratura.
A distanza di giorni posso confermare che aveva ragione, come la avevo io nel compiere questo azzardo di acquisto fidandomi della compulsività dell’atto nella scelta della copertina.
Non ho mai letto Laura Imai Messina, ma è stato un piacevole incontro la linearità della sua scrittura.
Nell’isola dei battiti del cuore ho trovato una storia molto intensa, una serie di storie in realtà, ma il protagonista principale, Shūichi, mi ha guidato in una osservazione delle cose in una visione molto toccante dell’esistenza. Una vicenda con incontri e un epilogo davvero emozionanti.
Quello che mi ha rassicurata molto è stata la costruzione dei significati, l’uso dei Kanji che ritmavano l’inizio di ogni capitolo in base alle emozioni dei protagonisti. È stato davvero un invito alla lettura, a una scoperta verso una cultura ma anche un avvertimento alla necessità di approfondire l’operato di Cristian Boltanski che ha permeato, con la sua storia di artista contemporaneo, l’intera pubblicazione con la sua ricerca.
Si, perché credo che un bravo autore non sia quello che ti tenga agganciato alla sua letteratura, ma colui che si dona e invita alla scoperta di altri mondi che lo hanno guidato nella ricerca e al suo risultato finale. In questo caso ben riuscito, devo dire, talmente tanto che ho capito sia arrivato il momento di andare a studiare meglio il lavoro di Boltanski e quello della sua compagna Annette Messager.
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