La zona è quella della Casa di Dante, la foto è stata scattata domenica in una Firenze semi vuota e con un carico di valigie per la ripartenza.
Mi è piaciuto l’incontro con questo lavoro per diversi motivi: mostra un ritratto, un tablet, ma anche un segno preciso che indica un cultura pop di fine anni ’70 e inizio anni ’80.
L’autore di questo lavoro è Maurizio Rapiti – e io non so chi sia. In un profilo on-line si dice che è un artista toscano che vive e lavora in Umbria, ma è un profilo di circa dieci anni fa.
Si dice anche le sua sua ricerca è centrata su un fatto molto chiaro: il classico che incontra la cultura pop. E mi pare un dato più che conclamato vedendo il soggetto e gli elementi ritratti.
L’arte urbana mi piace, mi fermo e cerco di guadagnare un esercizio di sguardo sui soggetti raffigurati, riconoscerli, decodificarli oppure apprezzarli per ciò che sono, ma come in questo caso rimango un attimo perplessa. È vero che ci sono mille riferimenti, ma è anche vero che c’è troppa imitazione.
Ecco, ma l’imitazione non ha un po’ stancato? Si prendono i grandi classici, si fanno propri calcando la mano del maestro di riferimento e poi si aggiunge un elemento infiocchettato e di abbellimento per dire, in maniera semplicistica, che si è spezzato un canone.
Ma come? Con l’inserimento di quattro dettagli che connotano l’opera in un luogo e in uno spazio diversi e con uno schema (stra)conosciuto?
Mi pare un operazione troppo facile, troppo semplicistica, soprattutto per chi sceglie di fare questo mestiere.
La cosa che mi diverte di più è questa sottovalutazione del pubblico poiché dimostra sempre una faccia da schiaffi di chi la fa, ma dall’altra parte, mi addossa un carico di tristezza infinito sulla immaturità dilagante di chi sceglie questa professione.
La questione è molto più profonda di un post su Instagram, ma quello che voglio dire in breve è che seppure carino e identificabile, questo lavoro in che modo mi sposta da dove mi trovo?
Mi ha lasciato la meraviglia della scoperta, uno stupore, niente di più.
Peccato!

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