Ho provato a scrivere a vari enti per trovare informazioni su cose che voglio fare e la risposta è sempre la stessa: avere di fronte burocrati capaci di segnalarti il riferimento legislativo.
Partiamo dal presupposto che se tutti fossimo dei bravi giuristi non occorrerebbe la legge. Una persona che ha bisogno di orientarsi oggi trova – sempre – dei muri, ostacoli da interpretare per avere una risposta che non è mai chiara o semplice.
Quando sono stata in Olanda ricordo molto bene una cosa: il treno aveva una prima e una seconda classe, sono segnalate con i numeri 1 e 2. Bastava trovarsi sulla zona giusta e tenere conto di questo per di velocizzare ogni passaggio.
Si lo so, è ingiusto fare dei paragoni tra nazioni, ma ogni tanto guardare all’altro per prendere esempio non è una cosa malsana e così difficile.
A me piace molto l’Italia, devo dire che apprezzo le singole regioni. Sono sempre spaventata quando vado in un posto nuovo per il classico detto “paese che vai, usanza che trovi”. Per paura del giudizio – chiamamola pure sindrome dell’impostore – mi sembra di risultare scortese e non rispettosa delle abitudini altrui e per questo mi espongo poco nonostante le capacità che ho e mi riconosco.
Quello che mi distrugge più però della burocrazia è il distacco. Una cosa kafkiana di disorientamento generale dove la colpa, anche per una richiesta di informazioni, è comunque tua. Ti pone nella condizione di sentirti fuori posto.
Sono convinta che molti si sentiranno come me con questo peso nell’animo quando accade.
Un altro esempio è di beccare gratuitamente la frustrazione altrui, non parlo di uno sfogo di situazioni dove occorre davvero dare un aiuto, ma quella capacità di assorbire la rabbia altrui come un malcapitato che è costretto a chiedersi: “Gesùcrì ma che ti ho fatto per stare qui?”
Altro esempio è quando incontri dei superiori maschi dediti al capovolgimento della frittata, quel tizio che delega tutto ai suoi sottoposti. Io ne ho incontrati a bizzeffe e il problema non è il loro modo di fare, ma la cerchia di persone che permettono di farsi trattare come calzini spaiati.
In molti pensano che io sia una testa di cazzo: ed è vero, nel senso che se a me una cosa – una cosa seria – non piace, lo dico. Parlare è diventato un problema? Bene, allora lo sia.
Mia nonna raccontava sempre una storia di una donna: ogni volta che lei vedeva il marito lo chiamava con l’epiteto di pidocchioso. Lui era un inconcludente, un nullafacente di quelli che pavoneggiano le loro beltà che sono basate e costruite sul nulla. Questa donna veniva punita, ma punita nei modo più assurdi. L’ultimo atto a cui è stata sottoposta fu quello di essere calata in un pozzo. Più scendeva con la carrucola, più gridava al suo compagno di essere un pidocchioso. Non riuscendoci più, per via dell’acqua che la soffocava, usava le dita in senso di schiacciamento. Lo ha fatto fino alla sua immersione totale.
Mi sono sempre chiesta se quell’uomo si fosse reso conto del suo gesto. Se la sua coscienza avesse avuto una risposta a ciò che ha fatto.
A me piace pensare a quella figura femminile: resistente, fiera e coerente, nonostante sia stata sminuzzata nella sua intimità come tante verdurine mischiate, è rimasta in armonia con se stessa, nonostante la diversità delle componenti e delle esperienze vissute.
E allora la burocrazia imploderà assieme al corona virus, o almeno spero sia così!
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