Mentre mi distraggo da situazioni poco piacevoli legati a condizioni lavorative pregresse, ho approfittato di dare uno sguardo ai giornali.
In un articolo del Sole 24 ore di stamattina esiste una analisi che indaga come la pandemia abbia portato avanti una perdita tra i comparti che fanno cultura e tra questi ci sono i musei che hanno subito un feroce contraccolpo per la mancanza di ogni forma di turismo.
Si evidenzia come ci siano state esperienze positive da nord a sud nei maggiori centri di produzione, ma come la mancanza di mobilità abbia portato a una precarietà e una rimessa in discussione di quello che è l’attuale modello di business museale.
Siamo sicuri che il problema sia solo questo? Quando pongo questa domanda a me stessa, penso alle istituzioni pubbliche e tutte quelle vincolate da processi burocratici lentissimi che si amplificano nel loro status in questi periodi strani. Penso, ad esempio, ai concorsi recenti indetti al Mibact per gli operatori di vigilanza e custodia o anche quelli che portati avanti dalle singole regioni per le istituzioni locali, al fatto che siamo tutti appesi e vincolati a una macchina che non ha mai avuto la sostenibilità necessaria fino a oggi.
Come si cambia tutto questo e come si pensa a quelle persone che fino a oggi hanno lavorato in una determinata maniera dentro questi meccanismi avvolti da malattie croniche?
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