C’è una intervista di Alfonso Signorini su Repubblica che parla del Grande Fratello Vip. Ho scelto di leggerla perché immaginavo di trovare qualcosa di interessante da uno che conduce uno dei programmi più brutti della TV italiana.
Il conduttore dice, in un punto preciso dell’articolo, di come il pubblico abbia sviluppato un senso di identificazione totale con i personaggi in gioco. Quando penso questo, mi riferisco al senso di empatia. Un sistema secondo il quale i concorrenti siano considerati, da chi guarda, come dei veri e propri vicini di casa tanto da spedire numerose e-mail in redazione per un lutto vissuto da una delle personalità in gara.
A me successo un giorno di assistere a un programma della Clerici in attesa del Tg1. La conduttrice riceve la chiamata per un gioco e inizia a parlare con la sua ospite telefonica come se non ci fossero filtri. Ho avuto l’impressione di essere come in quelle mostre dove un artista incontra il più importante dei critici e dopo tre secondi inizia considerarlo l’amico più stretto tanto da iniziare a chiamarlo per nome, con la differenza che quel professionista si è eclissato in un’altra vita spazio-temporale e ha dimenticato dell’esistenza di chi ha incontrato tre secondi prima.
Per me è un dato allarmante, indica un bisogno di riconoscimento al limite del patologico. Volere a tutti i costi che chi guardi sia come te. Proiettare il proprio desiderio tanto da portare in secondo piano chi è il vero protagonista.
Se questo accade in TV, nella vecchia scuola di rispecchiamento sociale, qui sui social, dove la mediazione è diretta, non ha regia e autori, cosa può accadere? Che impatto può avere in chi ne fa un uso irresponsabile? Che gioco malato si crea con personalità non strutturate?
Come al solito mi faccio il problema per gli altri, ma se penso alle piccole personalità narcotiche che hanno bisogno di consenso continuo, mi sale la voglia di dissociarmi dal mondo staccando tutte le prese di ricarica che ho a disposizione a casa. Vado a lavorare va!💥
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