Rientro da qualche giorno passato a Firenze dove sono stata per visitare alcune delle mostre più importanti che si stanno avendo in città per questa fase ultima dell’anno. Inizio con Jeff Koons. Shine a cura di Alberto Galansino e Joachim Pissarro, aperta al pubblico il 2 ottobre, ha come scopo di essere una panoramica dell’operato dell’artista dagli anni Settanta a oggi. Una mostra che si tiene a Palazzo Strozzi fino al 30 gennaio 2022.
Ho vissuto questa esperienza come se fossi stata in una grande scatola di cioccolatini, il risultato è stato di non sapere come fare per uscire a causa di un effetto di assorbimento che il progetto espositivo genera alla vista. Si tratta di uno stato di attrazione davvero magnetico, si sviluppa con forte impatto nel passaggio delle stanze per via dei materiali usati per la realizzazione dei grandi lavori presenti in tutto il camminamento – sculture in alluminio con rivestimento in materiali plastici dalle tonalità accecanti. Nel percorso ho incontrato molta gente, ma soprattutto bambini, e tante attività organizzate dalla Fondazione che fanno in sold out in poco tempo dalla sua inaugurazione.
I curatori e l’artista hanno effettuato un’attenta selezione su un corpus di opere provenienti da tutto il mondo, dalle maggiori collezioni internazionali, tra cui Rabbit: battuta all’asta per 91 milioni di dollari.
In Shine i lavori sono sempre al centro, quando dico così non è un caso: Shine/brillantezza è proprio l’effetto di riflesso che noi cerchiamo in quei lavori. Credere di essere protagonisti dentro ogni elemento con una distorsione nella nostra figura che cambia la nostra percezione, e quella di ciò che abbiamo appena guardato di noi, nell’opera. Non è tanto l’opulenza a essere ostentata, quanto l’osservazione di un processo che è qui e ora, ma iniziato con quello che rientra in ciò che può essere etichettato come espressione massima di una cultura pop anni ’80 ormai al crollo. La dimensione ludica è tra le componenti più marcate. Giochi che portano il pubblico nel pieno divertimento, ma che risulta quasi cinico e beffardo: è importante quindi la lettura delle didascalie per scoprire l’effetto di un risultato che ti rende vittima di un meccanismo che ti fagocita: si passa dall’ironia all’asprezza con una grazia spaventosa. I rimandi sono moltissimi, figure che richiamano i cartoni animati Disney, forti legami collegati alla storia dell’Arte.
Tra le sale più imponenti, l’ultima sembra quella dei simboli di idolatria: l’archeologia della Venere di Willendorf, a una comune croce cristiana, qualcosa che ha una forma non delineata. Se dovessi trovare un termine per definire la mia esperienza potrei scegliere solo quello di imponenza. Lo specchio, il medium, si interpone tra noi e quello che effettivamente è l’opera, ciò che noi rappresentiamo con il nostro riflesso nel lavoro permette di capire che niente è fisso, tutto è mobile e cambia il suo punto di vista in base a chi la guarda e in base a chi la cattura e sulla base del proprio vissuto, presente e passato, in un secondo preciso, che rende la quotidianità labile.
Cercavo una mostra che mettesse in luce l’espressione del tempo, Shine – per me – è la massima espressione di disturbo sul vissuto visivo dei nostri tempi.
Io consiglio una visita, la merita tutta!
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