Ci sono state due mostre che mi hanno fatto riflettere negli ultimi tempi, hanno generato in me un blocco di pensiero immediato nel momento in cui le ho vissute. Si tratta di una posizione che non mi permetteva di andare oltre l’esperienza che ho assorbito alla loro inaugurazione. Ho chiarito a me stessa, dopo pochi giorni, che le mostre curate da Pietro Gaglianò non lavorano quasi mai sull’evidenza – sul grado di un visibile comune -, ma sull’immanenza, cioè su più livelli sotterranei di interpretazione. A ingannare c’è la percezione del nostro singolo sguardo che abbiamo costruito sul mondo e che lui ha provato a sabotare con i suoi progetti di allestimento.


Quando faccio riferimento al critico Pietro Gaglianò, non lo tiro fuori a caso, ma tengo conto delle grandi lezioni di Jean Baudrillard sull’adozione di un atteggiamento verso uno sguardo iconoclasta su l’arte e gli artisti, che qui mi è sembrato utile evidenziare più di ogni altra occasione per riflettere sul quotidiano della pittura contemporanea, presentata nell’anno 2022, in questa sede, nel cuore di una piccola provincia teramana.
Per questo, e per altre ragioni, cercherò di dare il mio punto di vista a un critico, nelle vesti di curatore, e userò i miei occhi per capire quanto le due mostre di Castelbasso, organizzate dalla Fondazione Malvina Menegaz, e presentate quest’anno, vadano guardate con l’attenzione di chi tradisce e altera le prospettive dei visitatori con lo scopo di metterli in difficoltà di pensiero davanti a simboli, rituali e memorie, dinanzi a schemi di culture vicine o molto lontane, anche e soprattutto in termini di estetica e in rapporto con i media.

Bagnati, Riti e mattanze è la prima mostra che voglio esaminare. È un progetto basato sull’opera di Francesco Lauretta: un artista la cui pittura è luce estrema nel racconto e nella rappresentazione della rovina.


Presentata su tre livelli dell’antico Palazzo De Sanctis, l’esposizione pare abbracciare tre macro temi: l’imitazione, la messianicità e la via di fuga. La bravura di Lauretta sta nella capacità di dissimulazione e nell’ironia. Il suo operato sale dal primo livello e nella provocazione che ci lancia nel secondo, nel cuore delle mostra, travolge il visitatore tra scritte e componenti che rappresentano l’intero viaggio su un percorso su cui bisogna inerpicarsi e scavare per comprendere l’antropologia del sacro collegata ai riti dell’umanità cui noi siamo parte integrante come custodi nella volontà di mantenerli vivi nella tradizione e nella ripetizione.
Imponente è l’opera nella quale rappresenta un Cristo posizionato in orizzontale, ha una geometria che falsa la tradizione religiosa della verticalità. È come se questo corpo venisse strotolato verso di noi come metafora di un messaggio che mantiene fede a se stesso, ma condannato a quella croce che lo trattiene. Il corpo traslato di un artista che attraverso la sua opera è nelle mani di tutti?

È il corpo di Cristo ben saldato su cui capeggia la parola Epitaffio, come a ricordare quanto l’illusione di una scritta (il Verbo) può essere un segnale che introduce alla rovina e alla maceria se mal interpretata o giudicata con semplici strumenti.

È un lavoro che può invitare a ricordare la battaglia sui diritti, sull’eutanasia e l’autodeterminazione.
Nell’ultimo piano di questo percorso, come una beffa, un grande dileggio, si apre il rito della mattanza, con un lavoro verticale di grandi dimensioni posizionato a ridosso delle scale e vicino a una finestra che nelle ore diurne offre una prospettiva quasi rinascimentale su un’opera costruita come una corale tragica. Anche in questo caso si è di fronte a uno scenario molto attuale, poiché ricorda la Sicilia (la grande letteratura siciliana), ma soprattutto i gruppi di donne e uomini che arrivano da terre lontane e devono subire la stessa violenza che spetta ai tonni nella carneficina della cattura.

Il Cristo in posizione orizzontale e un gruppo di individui in posizione verticale, fanno pensare a quanto la scelta della collocazione nella raffigurazione indichi un segnale che passa da una visione basata su un uomo e più uomini e donne; va da una dimensione a tutto campo (come una carrellata cinematografica) che parte da un unico soggetto agganciato alle cose, verso una finestrella social (tipo stories) su una molteplicità di soggetti che subiscono o sono testimoni di un’azione feroce al limite di una interpretazione metafisica.
Oppressiva è Groud, la prima mostra istituzionale di Aryan Ozmaei, un percorso che ha base nella sede della Fondazione Menegaz: Palazzo Clemente. Anche in questo caso si è di fronte a un allestimento in cui vince la presenza di opere orizzontali presentate in forma di trittici.


Lavori molto grandi si sposano con gli angoli duri delle stanze e racchiudono una visione composta da linee nette che limitano lo spazio al visitatore in termini di godimento della mostra. Artista iraniana, vive in Italia, porta con sé una tradizione pittorica dai toni fortissimi, racconta i moti del femminile con una intimità talmente tanto evidente da schiacciare le percezioni che si vogliono attivare per osservare con profondità e giusta attenzione il suo operato.
I processi di sviluppo di questi due progetti (Lauretta / Ozmaei) sembrano essere fondati su chiave archetipica e sulla messa in crisi di canoni che appartengono a ogni cultura del mondo attraverso quello che è il concetto complesso di ricerca del Mito nel visibile e nel non visibile delle società e dei nuclei familiari fondati su base patriarcale.
Un oggetto – in questo caso un’opera d’arte – per molto tempo sono stati pensati per evocare forme cultuali basate su venerazione e sacrificio.


Allora la domanda che sottopongo al critico Pietro Gaglianò è una: A Castelbasso, in questo preciso istante, si sta aprendo un varco che è una rottura di due mondi narrativi su dimensioni sociali ben distinte che hanno la volontà di generare piccoli terremoti sulle culture della modernità?


I progetti sono visitabili fino al 28 agosto, aperti dal giovedì alla domenica dalle 19 alle 24.
FRANCESCO LAURETTA
Bagnanti, riti, mattanze
A cura di Pietro Gaglianò
ARYAN OZMAEI
Grounds
A cura di Pietro Gaglianò
23 luglio – 28 agosto
Palazzo De Sanctis, Palazzo Clemente, Castelbasso ( comune di Castellalto – Teramo)
Photo credits: Gino Di Paolo e in alcuni casi per questo articolo Amalia Temperini Courtesy Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture
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