Dopo circa due settimane, urlo al miracolo: posso dire al mondo di aver terminato Il complotto contro l’America di Phillip Roth.
Si tratta di un libro edito da Einaudi nel 2005. Lo avevo acquistato tempo fa, in preda a crisi di sfiducia per la non conoscenza di autori contemporanei statunitensi. Non so se ho fatto bene a leggerlo a distanza di così tanti anni. Quello che so di certo è che per me, Roth, è troppo. Quando dico troppo, penso all’immensa capacità descrittiva che arricchisce le sue pagine: non si esce vivi, benché la sua modalità stilistica sia pazzesca.
The plot against America (titolo nella sua versione originale) ha di base la storia di una famiglia ebrea che si trova a vivere negli Stati Uniti, in uno dei periodi più bui del novecento, legato alla seconda guerra mondiale (1939 – 1945).
Lo scrittore elabora un testo con date inserite come pagine di diari, per inquadrare bene i passaggi degli accadimenti di Philip Flanagan: un bambino di otto – nove anni che assiste involontariamente ai cambiamenti del mondo, da un paese non interessato, in prima linea – almeno per quanto riguarda i bombardamenti – a questa fase storica.
Dimensione pubblica e privata si aggrovigliano di pari passo; l’elemento narrativo porta il lettore fuori dai fatti che ha letto in precedenza, disorientandolo; chi si trova a sfogliare queste pagine è veramente messo in difficoltà, poiché si tratta di un puzzle corrosivo dal quale non ci si riesce a staccare, benché ci siano tante difficoltà nel portarlo avanti e terminarlo.
La premessa fornita è quadretto scontato che conosciamo bene: gli USA come mega paese in grado di rispettare tutti; cinquantacinque Stati in cui si è liberi di vivere e sentirsi parte di un gruppo, uniti da un solo canto e un’unica bandiera, nonostante le differenze di culto.
La famiglia Flanagan è delle più fortunate, all’apparenza tranquilla; un padre eccessivamente dedito all’informazione, alla difesa dei propri diritti e alla tutela della sua provenienza culturale; una madre abbastanza anonima nella sua prima parte, vivacissima, come solo le donne sanno fare, nella seconda; un fratello, Sandy, che vive tre fasi di cambiamento nel giro di pochi mesi; un cugino, Alvin, terribile nipote ospitato nella casa degli zii, poiché orfano; la zia Evelyn, ebrea reietta, pronta a tutto per il successo – anche rigettare l’appartenenza, per inseguire il capo rabbino, pronta a salire con lui sulle scale della Casa Bianca.
Lindbergh è un personaggio strano, perde il figlio in condizioni non chiare, parte per l’Inghilterra, si trasferisce in Germania e torna in America assieme a sua moglie. Arriva al potere dopo una breve escalation, insediandosi a Washington al posto di Franklin Delano Roosvelt. Un presidente (Lindbergh) che sarà ricordato per i suoi viaggi rocamboleschi sul monoplano Spirit of Saint Louis.
Il romanzo subisce un’elaborazione fantapolitica: di pari passo all’Europa delle leggi razziali nel 1938, l‘America, inizia a vivere un periodo di sconvolgimenti interni, non conosciuti ai più, e voluti dalla manipolazione di Lindbergh stesso, giacché probabile spia nazista, insediatasi, per volontà superiori, che comandano dal vecchio continente.
Gli ebrei sono incasellati in progetti di scambio che partono direttamente dalla formazione giovanile – Sandy, il fratello maggiore di Philip, è spedito nel Kentucky, in una famiglia cattolica per imparare a lavorare la terra per ovvi scopi.
Il libro culminerà in un progetto di diaspora che ha come fine strategico l’allontanamento delle comunità ebraiche verso luoghi e ambienti che non permettano loro aggregazione; stando vicini a personalità cattoliche che sfoceranno in seguito in attacchi da parte del Ku Kux Klan.
Walter Winchell è l’unico in grado di aver alzato la voce contro queste rappresaglie nascoste; è lui che si candida alle elezioni contrapponendosi alle scelte propagandistiche che stanno portandosi avanti da troppo tempo; è lui che rivendicherà il potere della Costituzione Americana. Rimarrà ucciso proprio nel Kentucky, dopo aver dichiarato in pubblico di alleanze tra il primo presidente americano e Hitler.
Philip ha anche un amico che rifiuta, poiché ha mille problemi di comprendonio, ha perso il padre, e si trova a vivere con la madre in una casa che dovrà abbandonare subito dopo le volontà presidenziali. Seldon è chi l’ha salvato in una notte di deliri, quando lui ha perso il suo amato album di francobolli da collezione; e lui che dovrà salvar proprio alla fine di questo volume di 410 pagine.
Mi sono dilungata tantissimo, e ho saltato mille cose, di fatto la questione interessante è capire come la manipolazione possa avvenire utilizzando schemi provenienti dai mezzi di comunicazione di massa non ascoltati con le orecchie buone, abbandonando cioè il proprio spirito critico e lasciando agli altri il proprio destino per una cosa così banale.
Il postscriptum di Philp Roth, mostra una ricca biografia di ricerca, in cui è possibile trovare le storie dei personaggi più singolari che lo hanno ispirato.
Lo scrittore ha vinto il premio Pulitzer nel 1997 con Pastorale Americana, oltre che numerosissimi riconoscimenti. Di recente ha annunciato il suo ritiro dalle scene (clicca).
Sono combattuta; non so se consigliarlo. Se aveste voglia di leggerlo, sappiate che vi occorre tutta la tranquillità e concentrazione del mondo.
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