Lo scorso anno, quando feci quel piccolo viaggio in Olanda, decidemmo di inserire al volo L’Aia, andare a trovare a casa La ragazza dall’orecchio di perla di Veermer al Mauritshuis Museum, dopo aver fatto il pieno di arte contemporanea a Rotterdam.
La fortuna di quel periodo è stata la seguente: trovare le opere della Frick Collection di New York a disposizione nelle aree del museo incluse nel prezzo del biglietto. Rimasi colpita da questa opera di Jean-Auguste-Dominique Ingres, Comtesse d’Haussonville (1845). Non ne sapevo nulla, non so nulla di questo lavoro. Passai molto velocemente da lì, in verità, perché entrare in città, da una stazione minore, fu da spavento; vedere quel lato olandese dopo un’immensa perfezione fu capire cio’ che una ragazza di Utrecht mi aveva sempre detto, di quanto i problemi sociali fossero vivi, di quanto astio ci fossero tra le diverse comunità emigrate in quelle aree; volevamo andare via prima che facesse buio.
Rimasi colpita da pochissime cose del dipinto di Ingres: la supponenza fastidiosa di una donna che aspetta e ti guarda scrutandoti; la firma in basso a destra; il riflesso delle spalle che smonta totalmente la presunta superbia, non so come definirla, della giovane donna. Il rosso, vanità, splendente del fiocco poggiato sui capelli, frontale, la corrispondenza dei papaveri in basso, anche loro riflessi dallo specchio. In questo lavoro ho visto in un colpo solo la vecchiaia. Ho capito che Vermeer era il meno potente tra i due, nel dire, in questo confronto lontano, collocato in uno stesso luogo; di lui ho apprezzato le nuvole fedeli alla sua terra; avevo trovato le stesse a Delft, come la luce, dove ero di base ospitata.
Questioni di collezionismo, pubblicità e autenticità, cambiamento di percezione che dal vivo assume tutto un altro sapore.
Fortune.
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