Ormai è una sorta di rito, quando sono in Toscana mi piace andare a cercare per caso le opere di Blub disseminate nei vari luoghi, anche quelle che negli anni hanno strappato, si sono consumate con il passare del tempo o in modo più semplice per le avverse condizioni meteo.
Las Meninas di Velasquez non la ricordo, eppure al Prado ci sono stata diversi anni fa con un certo fervore, la questione è che sono partita per una lacrima di un’opera realizzata da Antonello Da Messina.
Uno dice: sei partita per una così insignificante? Si, perché ricordo ancora quando stavo preparando il mio esame di linguaggi artistici con un grosso catalogone che mi ha sbattuto in faccia questo lavoro piccolissimo che parlava di compassione – almeno quella è stata la mia interpretazione quando ho vissuto quel lavoro dal vivo.
Non so quanti di voi si sentano chiamati alle opere, ma vi assicuro che vivere questa sorta di incontro rivela molto di ognuno di noi con il passare del tempo. L’arte è un indicatore e una pista per se stessi e un grande specchio per un’intera comunità.
Che sia Blub, che sia Velasquez, una copertina di un libro o cover di un disco, le immagini ci raccontano sempre quello che siamo.
Sarà un caso che le grandi opere custodite nei musei diocesani sono elementi che possono essere riabilitati alle funzioni religiose quando sono dismessi dal loro uso principale?
La volontà delle persone, il decretare e lo stabilire cosa è importante, è chiamato e ascoltato dalla Chiesa da sempre, anche per riabilitare qualcosa che può essere antichissimo e brutto.
Tutto dipende dalla nostra percezione e dalla narrazione costruita attorno a un determinato oggetto.
Oltre a Blub, c’è un nuovo artista che ho visto ripetute volte in giro ma che non ho fotografato a causa della fretta di muoversi. Ho solo un’idea precisa: ricordava i colori di Mirò, blu e rosso. I soggetti erano minimali e sembravano urlare, alcuni erano situati all’interno di intercapedini precise e impensabili.
Chissà chi è?

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