Ho divorato questo libro dopo aver accolto il suggerimento @silviaspads. L’articolo nasce a seguito della serie TV Curon, di cui ho già espresso un parere e dalla quale non riuscivo a capire alcuni riferimenti fatti dai registi nel bel mezzo delle puntate.
Resto qui di Marco Balzano è tutta un’altra storia. Una scoperta durissima, ambientata tra Resia e a Curon, in Trentino-Alto Adige.
Non avevo mai letto di una protagonista che raccontasse il suo punto di vista dalla parte di un territorio che fu di mano austriaca, di vicende accadute durante la Seconda Guerra Mondiale proprio in quella area.
Trina è una giovane ragazza che ama le parole. Costruisce la sua persona in opposizione al pensiero della madre. Si sposa come molte, ha dei figli. È austriaca, diventa italiana per opera dei fascisti, invasa dai nazisti, fugge tra le montagne assieme a Enrich, suo marito, diventano disertori. La loro è una vita complicata. Hanno una figlia che scompare e un figlio che diventa nazista. Tradimento e ossessione sono alla base di tutta la struttura narrativa.
La vicenda privata incrocia quella pubblica, la parte più interessante di tutta la lettura. Balzano costruisce un romanzo che sfrutta una dimensione intima per denunciare i soprusi dei fascismi, che per tanti versi, assomigliano a fatti che stiamo ancora vedendo sotto i nostri occhi.
Basti pensare alle continue lotte per la TAV, ai suoi movimenti di opposizione in Val di Susa oppure ai comitati No Snam, in Abruzzo, contro i gasdotti.
In epoca fascista il territorio di Curon vede la possibilità della costruzione di una diga. Le persone, le istituzioni, comprese quelle ecclesiastiche, sono a conoscenza di come quel terreno non sia adatto. Il rischio che la valle sia invasa dall’acqua è altissimo. Inutili battaglie, inutili gli impegni, lo sforzo di voce per ottenere giustizia.
Promesse su promesse, la città di Curon ha un dato utile, il campanile della copertina, una città sommersa, oggetto di selfie e moda, oggi, nasconde una vicenda dura e imponente che emerge anche dall’aiuto da queste pagine.
A rendere intenso il racconto è la prima persona. Balzano è diretto, entra nella nostra parte più viscerale, dialoga con il lettore e crea un trauma. Stupisce come la sua sensibilità possa avere accesso all’universo femminile a questa maniera. È una lingua, quella della verità, che molti vorrebbero possedere. Per tanti versi Resto qui racconta ciò che alcuni autori riportano da tempo. Penso all’odio di Beffe Fenoglio per l’italiano e al suo amore viscerale per l’inglese. Aggiungo anche alcune pagine di Francesco Matteo Cataluccio quando parla della scelta di tradurre il polacco rispetto al tedesco. La lingua, uno dei nostri segni identificativi, diventa una parte di resistenza.
È bello sapere anche di scuole clandestine, di maestre che insegnavano il vocabolario tedesco nelle catacombe per tutelare la propria appartenenza, trasmettere una tradizione a chi arriverà nel ricordo di chi ha reso quei territori unici fino a oggi, nonostante le numerose invasioni e i soprusi.
Resto qui racconta ciò che Ignazio Silone ha cercato di fare con Fontamara, e per certi passaggi, anche la dimensione di ritorno che Cesare Pavese descrive in quel capolavoro assoluto che è la Luna e i Falò.
Nessuno può capire cosa c’è sotto le cose. Non c’è tempo per fermarsi a dolersi di quello che è stato quando non c’eravamo.
Sarai poi vera questa citazione?
Io resto qui – Marco Balzano, Einaudi, 2018.
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