Ci sono alcuni aspetti che mi hanno particolarmente colpito dell’ultimo libro di Guido Crainz, si tratta di come abbia inquadrato quello che sta accadendo nello scenario a Est, quello che oggi vede coinvolti numerosi popoli che stanno mutando l’assetto in apparenza stabilito con la caduta del Muro di Berlino dopo il 1989.
Mi trovo molto nel sentire di questa riflessione. Ho sempre pensato che dopo quella data c’è stato l’apice di un momento storico che immaginavo fosse di libertà e di democrazia, ma che invece sembra essere la scena di qualcosa che sta cadendo a picco e che ha generato un grande disorientamento che ci ha portato a ciò che stiamo vivendo nella quotidianità. Quando affermo questo pensiero, lo faccio sulla base di alcune letture, film, serie TV e lavori di arte contemporanea che mi hanno segnato nell’intimo, come ad esempio quelli di Milan Kundera, Ágnes Heller, Czesław Miłosz, Julia Kristeva, Kurt Vonnegut, Zygmunt Bauman, Simone Weil, Gustaw Herling, Anne Fontaine, Lech Majewski, Krzysztof Kieślowski, Francesco M. Cataluccio, Chernobyl, Hater, 1983, Ida, Katyn, Krištof Kintera, ecc.
Ho sempre pensato che la Polonia fosse una Paese doppiamente tradito, nel quale la rabbia repressa avesse una forte connotazione non manifestata poiché ho imparato a credere che vivere due stesse esperienze totalitarie potesse lasciare al suo seguito numerosi elementi problematici.
Se penso all’Ucraina di oggi, alla emergenza scattata allo scoppio dello scenario di guerra, focalizzo l’attenzione subito verso chi è intervenuto in quel Paese nell’immediato, quando lo ha fatto e in che modo, rifletto anche su chi è rimasto partecipe da questa parte, a ovest, a fornire gli aiuti.
Ombre d’Europa. Nazionalismi, memorie, usi politici della storia edito da Donzelli è uscito pochi mesi fa. È un saggio nel quale lo studioso Guido Crainz mostra come sia centrale il ruolo della figura storico e come la storia è oggetto di riscrittura in quelle parti d’Europa che lentamente stanno ristabilendo il loro quadro di educativo attraverso la stampa di nuovi libri, l’enfasi su alcuni di fatti della loro tradizione, in una revisione degli accadimenti che si sono susseguiti nella loro storia, attraverso gli strumenti didattici.
Sembra di capire che è come se ci fosse una struttura propagandistica alla base, ma molto molto meticolosa e subdola, centrata in una penetrazione capillare che parte dalla fasce più giovani, nell’idea di ricalcare una storia che è sbilanciata e non rapportata alla obiettività degli eventi accaduti in Europa, in tutto il continente europeo, dal dopoguerra a oggi.
Quando parlo di sbilanciamento, faccio riferimento a una cosa, che la storia è sempre stata scritta dai vincitori, cioè chi ha ha raccontato la propria versione dei fatti. Questo può significare che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ci siamo trascinanti dentro qualcosa che ha parlato di totalitarismo, ma un totalitarismo che ha messo a fuoco solo una parte: quella di Hitler, tralasciando i medesimi crimini commessi con il Comunismo e Stalin, in numerosi nazioni a Est, a cominciare da quelli che erano nell’unione dei paesi sovietici.
Se dal 1961 è stato innalzato il Muro di Berlino, poi fatto crollare nel 1989, questo cosa ha potuto significare per chi era lì? Cosa ha rappresentato per gli abitanti di quella parte di Germania – la DDR – quando ha visto l’accesso in quello che è stato il nostro mondo civilizzato e ricostruito nella meraviglia effimera del capitalismo?
In realtà, da quella parte di mondo, molte cose non sono chiare e quello che si sta aggiungendo sembra ancora mostrare aspetti offuscati se rapportati a una Europa che vede la sua prima piccola nascita già nel 1952, con la CECA, e in quell’avanzare che oggi viviamo come Unione Europea.
Guido Crainz nel suo meticoloso studio non si occupa di elencare questi elementi, ma sono io che li scansiono nella mente e ci penso se li metto in relazione a quanto dice. Il cuore della sua ricerca affiora in diverse riflessioni che confluiscono in un’unica domanda: esiste l’opinione pubblica europea?
Non ho la presunzione di rispondere a questa domanda, ma diciamo che non ho mai capito come si può parlare d’Europa unita se ogni singolo Stato ha in sé ancora dei grossi limiti culturali e grossi divari economici tra nord e sud, tra est e ovest. E quando affermo questo, per capire cioè le semplici dinamiche di disparità, credo basti affacciarsi alle numerose finestre a disposizione sul quadro politico, sociale ed economico, italiano, cioè di uno dei padri fondatori dell’Unione.
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