Ci sto riflettendo ancora; non sono sicura di essere del tutto convinta di quello che sta accadendo con l’opera di Christo e Jeanne-Claude, The Floating Piers, realizzata sul Lago d’Iseo, in Lombardia, inaugurata il 18 giugno scorso, ma penso, in maniera del tutto franca, diverse cose:
a) è un progetto reale,
b) gratuito (almeno per la parte che stanno spingendo sui media)
c) accessibile,
d) immediato.
e) compiuto.
Riflette totalmente il suo tempo, e in quanto tale, surriscalda le menti di ognuno. Quello che noto in maniera lampante è che la gente, in buona parte, non si indigna, ma aderisce. La differenza sostanziale, rispetto al Novecento è questa: prima ci si innervosiva per un oggetto comune preso in prestito dalla grande industria, simbolo di un periodo (ruota di bicicletta, orinatoio/fontana – Marcel Duchamp/paradosso), oggi, si va, nel richiamo della natura e dell’amore con la scusa (manipolatoria) della partecipazione e della condivisione, per esserne totalmente protagonisti, attraverso il ricordo di una foto che finirà sui social, in un archivio, e che metterà l’opera/l’idea, al centro della banalità (Andy Warhol), a supporto della nostra immagine personale. Un evento collettivo focalizzato sulla nostra centralità individuale.
Una fine, un tratto, una linea di congiunzione: la morte dell’immagine concessa tramite un’opera, e in una azione artistica, che riporta in discussione la tradizione, racchiusa in un canone concreto e tangibile, identificabile, in un azzeramento radicale, valido per una o più epoche, ma che sta abbandonando le sue fondamenta rinascimentali, in favore di una nuova dimensione che passa da reale a virtuale. Un cambiamento di percezione, il grado xerox della cultura (Jean Baudrillard); un quadro in pieno squilibrio/fallimento; una richiesta definitiva di rinascita/riappropriazione del ruolo della critica.
Nei bozzetti preparatori di The floating piers (galleria ufficiale) si trova un rimando netto alle tonalità, agli spazi raccontati in pittura, a fine ottocento, da Edvard Much (Disperazione/Angoscia/L’Urlo), trasformati in un progetto reale pensato in divenire video – fotografico – virtuale, su un camminamento passerella che rappresenta un passaggio per volontà di Christo. Dal racconto di un pittore, allo story telling autonarrato. Dall’ego al we-go (Jerome Bruner).



A tutto questo aggiungo che sono d’accordo su diverse opinioni. La prima è quella di Valentina Bernabei rilasciata su Repubblica – riflessione che mette in parallelo l’azione dell’artista bulgaro con quella avvenuta a Zurigo nella performance di Maurizio Cattelan, poi, le dichiarazioni del professor Pierluigi Sacco, il quale ha captato il senso che ne potrebbe scaturire dal risultato mediatico: quel ripercuotersi sulle nostri condizioni economiche e territoriali, da parte di amministrazioni e operatori, che, non guardando all’unicità del progetto sviluppato sul Lago d’Iseo, mirano a un versante preciso: l’imitazione (il senso di inferiorità/riproducibilità/richiamo/evento/soldi).
La svalutazione delle idee in competizione in favore di una gara.
Is this so contemporary?
Or
Per saperne di più:
The floating piers
Christo e Jeanne – Claude
Fino al tre luglio
@Lago d’Iseo
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