Ho appena letto una notizia sul Corriere della Sera nella sezione spettacoli. È legata a Sanremo e alla presenza del calciatore Ibrahimovic. Di tutto quello che viene detto, la cosa che mi ha fatto riflettere è stata una: lui non ha follower, ma believer, cioè persone che credono in lui.

Cosa avrà voluto dire?
Pare sia una informazione di una sua recente intervista. Mi sono soffermata su questo dato non tanto per il ruolo che riveste, ma quanto l’effetto che questo termine ha generato in me.
Da seguaci a fedeli è un attimo e a quanto pare ognuno sta facendo crescere la sua chiesa, ma basata su cosa? In questo caso la struttura ha le architravi che si innalzano nel ruolo imponente di chi è una superstar nel mondo del calcio. E questo può bastare a un essere umano tanto da essere considerato “credente”?
Una cosa che conferma la mia posizione secondo la quale usare i social network – o i mezzi di comunicazione in generale – senza consapevolezza possa generare una ramificazione spaventosa di persone incapaci di responsabilità verso l’altro in un effetto emulazione troppo rischioso che possa far dire: “se lo fa lui, perché non io?”
Ognuno scrive il proprio film e in alcuni casi ne decreta anche la fine – tipo quella voluta dall’attentatore di Nashville, pochi giorni fa, che ha stabilito la colonna sonora per la sua esplosione dopo l’arrivo della polizia.
Si passa da un polo all’altro suddivisi tra chi predica, chi esercita e chi subisce. Magari è solo la storia del mondo, ma proprio perché è tale non potrebbe accadere che qualcuno sia in grado di tirare il freno a mano e darsi una calmata?
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