Playlist – Arte Fiera 2021 o qualcosa del genere #arte #artecontemporanea [#riflessione]

Galleria Umberto di Marino, Arte Fiera 2020 - ph. Amalia Temperini

Quest’anno non sono stata Bologna, come al solito, per Arte Fiera. Come tutti i grandi eventi dell’ultimo anno anche questo incontro reale dedicato alle arti contemporanee è stato destinato al 2022. La notizia non era nuova, avevo già saputo di questa decisione mesi fa, come anche la nascita di un incontro on-line denominato Playlist 2021. Visioni trasversali sull’arte, da poco terminato.

Si è trattato di una maratona di alcuni giorni in cui, su varie piattaforme, si è creato un format culturale e di confronto andato a sostituire le intense giornate e nottate della città emiliano-romagnola.

La curiosità è partita da quando ho seguito Art|Basel, su come fosse stato ripensato il mercato in una applicazione in termini di fruizione in una logica che appartiene a quello di un normale carrello di Amazon.

Com’è stato questo incontro bolognese via web? Un viaggio in internet, inclusivo e accessibile, in cui si potevano consultare pagine con contenuti culturali e dove l’esperienza dal vivo è mancata tantissimo. Non solo perché non si è avuta la possibilità di interagire con opere, collezioni, artisti e galleristi, ma per la sottrazione della possibilità di scelta.

Mi spiego meglio. Sono abituata a girare per la città con la mappa in mano, fare veramente una geografia dei miei gusti che include un passaggio nei padiglioni della fiera. In questa occasione vedermi sottoposte liste e suggerimenti, seppure importati, ha limitato la mia capacità di entrare in uno spazio, una libreria Corraini, agire per acquistare sulla base di quello che ho vissuto o per incrementare il valore di un senso critico con possibilità di estensione dei saperi.

Per la prima volta ho sentito il peso del mercato in un ambiente estraneo ma familiare come quello della rete, che dovrebbe avere un rapporto di equilibrio tra potere di acquisto e valore culturale ma si dimostra essere uno spazio non equo, dove si creano sbalzi percettivi intensi e ripetitivi più invalidanti rispetto alla realtà.

Cinque sezioni hanno caratterizzato questa edizione (In mostra, In Sala, In libreria, In Conversazione, In Galleria), e tra le cose più divertenti c’è stata la lettura di Zig zag fra le opere in compagnia di Stefano Arienti organizzata per il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna in collaborazione con Istituzione Bologna Musei.
L’artista si è posto come un normale fruitore: il pubblico. Ha selezionato e scritto, con ironia, commenti cinici al limite dell’ilarità.

Rispetto alle esperienze vissute nel 2020, in questa prima fase del nuovo anno, la visita tra le vetrine digitali organizzate dalle gallerie è stata nostalgica, tradizionale e conservatrice. È mancato l’aspetto visionario più di altre volte, si è vista la natura frantumata di un mercato che avrebbe dovuto far emergere una forza rinnovata perché rinnovati sono i rapporti, le relazioni e i mezzi di fruizione.

Proprio stamattina su Robinson di Repubblica, in una intervista a Andrew Dubin – caporedattore di Frieze – è ribadito un concetto centrale che ho riscontrato nella navigazione delle gallerie di Art|Basel e sulla scelta dell’artista dell’anno per Art Review: l’importanza del movimento Black Lives Metter. La presenza di lavori che avessero a che fare con un gesto politico radicale e una richiesta di cambiamento che parte dal basso, da un local che mette in chiaro la necessità di una nuova forma di incontro, la crisi della centralità dei due poli del mercato occidentale: Londra e New York.  

A questo punto aspettiamo il 2022 per ulteriori valutazioni?

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