Dopo alcuni mesi metto piede in città, a Teramo, in pieno centro. Colgo l’occasione del lavoro per andare all’Arca, spazio di arte contemporanea che negli anni ha avuto grossi conflitti di identità.
In questo momento è in mostra “Ode alla terra” di Ivan Di Antonio, artista a tutto tondo, conosciuto ai più soprattutto per la sua attività di videomaker e musicista. L’Artista torna alla pittura dopo molto tempo e lo fa in punta di piedi, in un periodo che ha visto la chiusura della sua esposizione a pochi giorni dalla inaugurazione a causa della pandemia.
La regia di Ivan – parlo proprio della sezione cinematografica – è basata – secondo me – su due aspetti: la capacità di guidare con il suo occhio nella esatta profondità di una scena e l’ironia diretta, come un colpo che lascia lo spettatore sospeso in una risata mortale. Per lungo tempo è stato reporter di mostre di arte contemporanea più importanti realizzate in Abruzzo ed è proprio lì che imparato a spiarlo mentre lavorava.
Se dovessi dire cosa mi ha colpito di lui, a parte la discrezione, la professionalità e la dedizione verso il suo lavoro, c’è un racconto, quello che mi fece una sera di estate quando io ero guida di arte contemporanea e lui un semplice regista con un carico di telecamere vestite addosso. Mi disse che in quel periodo si alzava presto e andava a osservare il volo degli uccelli per capire come catturare e modellare la loro velocità in un racconto che al momento era quello filmico. Ci ho riflettuto per lungo tempo ed è una cosa che mi torna in mente ogni volta che ho da aguzzare lo spirito di osservazione quando ho da fare qualcosa che richiede impegno, esercizio e costanza.


“Ode alla terra” è una mostra che mette al centro la natura in cui la tematica ambientale si rapporta all’uomo come vera protagonista. Non è tanto la pittura di un quadro nella totalità – nella sua grande estensione spaziale – a rendere particolari i suoi lavori, quanto la capacità di essere dentro qualcosa che inserisce a margine.


Mi spiego meglio: gli accadimenti, in alcune opere, sono eventi esterni ai soggetti. In Dandelion, ad esempio, sfrutta la pittura a olio come esercizio di organizzazione dei piani e lo si vede bene grazie alla presenza di bozzetti che completano l’intero percorso di visita. Se in uno schizzo l’attenzione è sul viso della protagonista, quando si passa all’uso del colore, nell’opera definitiva, la centratura del fuoco è su due elementi: l’esterno di una finestra che mostra alberi in movimento e l’immobilità di chi detiene quel potere di irrigare/innaffiare un vaso con una piantina fragile di un Tarassaco su cui cade il nostro occhio. Il soggetto (una donna) è solo una mediatrice tra due piani – un interno e un esterno – che danno forma al tempo, lo curano e lo custodiscono.



Ci sono mille sfumature di lettura nei suoi lavori, in realtà. Io ne ho selezionati alcuni e la mia fotografia toglie molto a quanto c’è da vedere.




Se qualcuno è di queste parti e ha tempo e modo di vedere, credo ci siano ancora alcuni giorni per approfondire e approfittare di questa occasione.
Mi spiace solo una cosa, e la voglio dire: l’allestimento – nella sua parte illuminotecnica – non rende giustizia alla potenza del suo operato.
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Ode alla terra. Funerale.
Mostra personale di Ivan D’Antonio
Arca – Laboratorio per le arti contemporanee – Teramo.


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