Curatori – riflessione volante

Leggevo l’intervista di Santa Nastro rilasciata dall’artista Luigi Ontani su Minima&Moralia (clicca). La parte che mi ha colpito di più è questa:

E i curatori?

Non sto facendo alcuna battaglia, ma constato che non sono d’accordo con i curatori, perché loro hanno preconcetti. Sono dei sudditi, non sudditi dell’idea, ma del sociale. Quindi propongono dei progetti che sono il loro punto di vista, anche quando sembrerebbe che stanno facendo qualcosa che appartiene a un panorama più ampio. Non è così, deformano la storia perché non sono interessati a chiarirla. Se devo essere polemico, lo sono con i curatori. E infatti sto evadendo delle mostre: non vedo perché devo essere fatto a pezzi dall’ultimo arrivato. Nessuno si comportava così. Anche i critici più esibizionisti esponevano le cose tenendo conto dell’idea dell’artista, invece i curatori di oggi non mi sembra che facciano questo.

Da diversi anni lavoro in questo campo, giro e leggo riviste di arte contemporanea. La cosa che mi risulta più difficile è quella di recensire una mostra, soprattutto se essa ha un impianto collettivo, proprio perché non si dimostra il presupposto, la costruzione di una riflessione oggettiva che vada oltre, si spinga oltre, faccia riflettere un visitatore comune che sceglie di visitare una esposizione (a pagamento o gratuita) per accrescere il suo sapere, il valore della propria coscienza. Il tema spesso è vago, gli artisti sono uniti con scopi indecifrabili tra loro come se mancassero criteri di coerenza, coesione e condivisione, il contesto è preso in considerazione in alcuni casi, in altri no, come se certe condizioni non fossero più necessarie.

A volte, penso di essere troppo esigente, e quando provo a scrivere, vedo che tutto avviene con molta sofferenza, rinuncio, poiché il cuore di quelle cose non è veramente arrivato al mio intimo. Perché sforzarsi sul nulla per il nulla?
Il problema c’è, esiste, e non lo avverto solo io, ma anche chi l’arte stessa la realizza, ed è confortante.

La dichiarazione che sto scrivendo non è certo una novità. E’ sistematico che chi ha più esperienza di me conosce le segrete vie della comunicazione e del modo di attrarre a sé un pubblico, ma l’occhio allenato nell’osservazione permette di rendersi conto che quando mancano dei riferimenti precisi nelle didascalie, e compaiono i nomi delle gallerie, si sta sottraendo un requisito basilare come quello della accessibilità alla conoscenza, soprattutto se le esposizioni avvengono in luoghi pubblici e senza pagamento di un biglietto.

Spesso rifletto anche sulle recensioni. Quasi nessuno tira fuori l’aspetto analitico, un punto di vista che si connetta col mondo e apra ad altre forme di dialogo, soprattutto in quelle riviste di settore che macinano giornalmente articoli come fossero caramelle. In alcuni casi, ho letto, addirittura, di stesure compiute da uno stesso curatore per la propria mostra oppure per un’unica esposizione ma su due riviste diverse con contenuti simili e non differenti firmati da uno stesso autore.
E’ una situazione davvero fuori controllo, soprattutto per coloro che si prestano a questo gioco al massacro senza retribuzione.

Mi chiedo sempre quali siano questi temibili personaggi che ci inseguono, ci fanno sentire fuori luogo in questa corsa, come se tutti dovessero dimostrare a qualcuno che esistono e meritano. Poi mi fermo e dico: << ma vaffanculo! >>.
La dignità è una cosa sana da preservare, occorre molto coraggio per resistere.

Oscar Luigi Scalfaro ha realizzato questa dichiarazione nel 1993, quando fu attaccato attraverso una sorta di manipolazione che voleva infangarlo per presunte tangenti.
Un discorso a reti unificate, non programmato.
Era il 3 novembre, il giorno del mio compleanno.
Avevo 12 anni.

2 risposte a “Curatori – riflessione volante”

  1. Sono un frequentatore abituale di mostre d’arte, specie moderna e del ‘900… Devo dire che il problema della ‘cura’ raramente me lo pongo, forse perché mi sento già appagato dal poter vedere i quadri esposti. Probabilmente si tratta di un’esigenza ‘primaria’, tipica di un non addetto ai lavori, certo qualche volta noto anche io miscellanee un po’ troppo eterogenee (specie quando le mostre sono dedicate a musei e collezioni e non a movimenti, periodi, singoli artisti), ma alla fine l’appagamento delle opere esposte ha la meglio…

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    1. Dici bene: tu sei un pubblico già educato e sai quello che vuoi e perché.

      Pensiamo all’arte contemporanea che è notoriamente più difficile, perché dietro porta con sé mille pregiudizi, perché spesso da essa si vuole una risposta immediata senza sapere che è figlia di un processo storico che si sta vivendo nel mentre e che è difficile da comprendere e che spesso gli artisti puntano sulla propria personalità rispetto alla realizzazione del proprio lavoro.

      Pensi sia la stessa cosa?

      Uno dei problemi principali, ad esempio, è quello di attrarre nuovo pubblico. A chi ti rivolgi? e come? con quali scopi?

      Se tu non hai delle idee chiare, non dibatti per quello che vuoi, per un progetto che abbia dei risvolti precisi, sviluppati in collaborazioni date e accordate, ma ti muovi facendo un potpuurri che offra luce solo a te che hai costruito la macchina, che sei il critico/curatore, credi sia utile andare?

      Pensi davvero che il valore sia prioritario nell’osservazione delle opere, oggi?

      Ho i miei dubbi, ma io da dentro posso essere plagiata.

      Ti faccio il caso di un concerto qualsiasi, si è attratti più dal valore spettacolare o dalla qualità offerta ascoltando i brani cantati?

      Anche io credo nel valore dell’opera, in maniera assoluta e categorica. Allo stesso tempo c’è un qualcosa di malato che non permette di risanare certe posizioni. Non trovo equilibrio.

      Non so cosa sia successo, quale siano le regole, ma certi comportamenti passano come consuetudini: siccome lo fanno tutti ed è così che lo vogliono, allora è qualitativamente dato e dobbiamo farlo a questa maniera.
      Si punta alla quantità o alla qualità?

      Per me è un comportamento rischioso, forse anche vecchio per la velocità che corre.
      Muoverci a modello è banale e ci riduce a pezzi.

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