Un ex professore di università mi ha suggerito di leggere un piccolo saggio di storia contemporanea, un vero e proprio racconto personale edito da Laterza nel 2018 e intitolato Piccola città. Una storia comune di eroina scritto da Vanessa Roghi.
E’ accaduto dopo la visione di Sanpa, la serie andata in onda su Netflix alcuni mesi fa, di cui ho già parlato su queste pagine.
Un libro che è un concentrato di informazioni nuove, almeno per me, che non ho guardato il mondo della tossicodipendenza con la giusta maturità.
Se dovessi fare il resoconto del mio passato, sulla base di quello che sapevo da ragazzina, anche in questa parte di provincia, le situazioni legate all’uso di droghe sono innumerevoli. Potrei dire quali erano le aree territoriali della vallata del Vomano, nel teramano, in cui negli anni ’90 c’erano le situazioni più gravi, ma quando sei piccola, su determinati argomenti esiste l’impossibilità di parlarne e di capire, rimanere appesi in una situazione che combatte tra il rispetto di chi è vittima e l’omertà.
Piccola città permette di capire come ci si è mossi in una realtà, quella di Grosseto, in Toscana e di partire da lì per rendere nota una vicenda che ha accomunato molti in tutta Italia. Si parla del ruolo farmaceutico, delle guerre, del mercato di scambio e spaccio, le reti sulle quali si costruiscono meccanismi di condivisione che vanno a radicarsi in frange di popolazione indifesa e su cui viene costruita una marginalità feroce di pregiudizio.
Che ruolo ha avuto la stampa nella creazione dello stereotipo del drogato? E l’etichettatura e la suddivisione in classi tra chi è figlio della borghesia e chi di uno spaccato di società immeritevole di essere rappresentato o nominato? Quali erano i termini narrativi di tutta la vicenda di cui ancora oggi si avverte un disagio molto profondo?
Il libro muove critiche sulle responsabilità. E’ una pista su cui partire per capire come certi aspetti culturali si siano diffusi e siano stati messi all’angolo. Si parla di cosa siano stati i movimenti anni ’70 e quanto abbiano inciso, di politica e mafia, di emergenza nazionale. I concetti di ripetizione e dipendenza, di pubblico e privato, di spazi aperti e chiusi, di comunità. Di quanto questi argomenti siano riconducibili all’odierno nel caos di una pandemia quando si parla di salute, vaccini e si rimette in circolo la scarsa presenza di temi come HIV e AIDS.
Se uno scegliesse di vedere solo Sanpa, il rischio è di rimane a metà. Io ero a metà. Chi guarda quel progetto ha in mano un terzo di un momento che necessità di approfondimenti, lettura e coraggio, da parte di chi vuole raccontare la sua storia e da parte di chi vuole ascoltare quello che è accaduto non lontano dal nostro portone di casa.
Nella regia di Cosima Spender, tra i tanti argomenti emerge la figura del padre, il ruolo del maschio, del custode protettore che racchiude il disagio di un sistema che persiste perenne in questa nostra realtà che è l’Italia. Si sollevano mille riflessioni che hanno riacceso il dibattito pubblico in occasione della sua uscita. Tutt’oggi su molti editoriali il riferimento alla serie è marcato.
In Piccola città il padre è una figura centrale, la chiave di un perdono che arriva sotto forma di studio in un discorso in cui le donne sono fedeli alla propria natura e alla terra.
E’ una ricerca intesa, meritevole di essere conosciuta e tramandata.
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Piccola città. Una storia comune di eroina
di Vanessa Roghi
Laterza editore, 2018
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